Dal Libro della Sapienza

Pregai e mi fu elargita la Prudenza,

implorai e venne in me lo spirito di Sapienza.

La preferii a scettri e a troni,

stimai un nulla la Ricchezza al suo confronto,

non la paragonai neppure a una gemma inestimabile,

perché tutto l’oro al suo confronto è come un po’ di sabbia

e come fango sarà valutato di fronte a lei l’argento.

L’ho amata più della Salute e della Bellezza,

ho preferito avere lei piuttosto che la Luce,

perché lo splendore che viene da lei non tramonta.

Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni;

nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.

(7, 7-11)

Jiddu Krishnamurti

“As I have said, I have only one purpose: to make man free, to urge him towards freedom, to help him to break away from all limitations, for that alone will give him eternal happiness, will give him the unconditioned realisation of the self.”

 

From: The dissolution of the Order of the Star

Sull’Illuminazione Improvvisa del Ch’an (Buddhismo cinese)

Essendo la natura di Buddha inesprimibile e inconcepibile, il Ch’an afferma che il solo modo per acquisirla è per mezzo dell’intuizione diretta, completa e istantanea. Questa è l’illuminazione improvvisa, caratteristica della filosofia Ch’an – anche se nella storia della filosofia cinese questa non era la prima volta che si sentiva parlare di Illuminazione improvvisa.

Questa teoria venne sviluppata in opposizione alla teoria indiana del graduale raggiungimento, secondo la quale la condizione di Buddha si conquista solamente con un graduale sviluppo della dottrina e della pratica. I buddhisti cinesi consideravano l’illuminazione graduale dei buddhisti indiani un “lavoro preparatorio”, un semplice apprendimento che nulla aveva a che fare con l’illuminazione stessa, che è una, e non può essere divisa per gradi.

L’illuminazione improvvisa, simile ad un salto sopra ad un precipizio, viene spesso considerata dai maestri Ch’an come la “visione del Tao”, in quanto si è uno con Esso, che è simile ad una immensa estensione di vuoto. Nel Ch’anismo si usa comunemente questa espressione:

La montagna è la montagna, il fiume è il fiume.

Nello stato di errore si vede la montagna come montagna e il fiume come fiume, ma anche dopo l’illuminazione si vede la montagna come montagna e il fiume come fiume. In sostanza, l’uomo, dopo l’illuminazione, non è diverso da ciò che era prima, solamente “agisce” in modo diverso, e cioè senza attaccamento alcuno. Questo è anche il significato del noto detto ch’an:

Mangiare tutto il giorno senza inghiottire un solo grano;

indossare abiti tutto il giorno senza toccare neppure un filo.

Vorrei terminare con un racconto Ch’an che fa riferimento al silenzio come “impossibilità di giudizio” riguardo a qualsiasi argomento e come mezzo per il raggiungimento dell’illuminazione improvvisa:

Un Maestro era solito rimanere in silenzio e mostrare il pollice quando gli veniva chiesto di spiegare il Tao buddhista. Il ragazzo che lo assisteva, accortosi di questo, cominciò ad imitarlo. Un giorno il Maestro gli vide fare quel gesto e, rapido come un fulmine, gli tagliò via il pollice; il ragazzo corse via piangendo, allora il Maestro lo richiamò e, non appena il ragazzo si fu voltato, mise di nuovo in mostra il pollice. Fu in conseguenza di ciò che il ragazzo ricevette l’illuminazione improvvisa.

Questo insegna che si deve parlare molto prima di poter tacere, che c’è silenzio e silenzio…..

Similitudini fra Buddhismo e Ch’anismo: spontaneità e silenzio che conducono alla meditazione

Il Ch’anismo (più noto come Zen in giapponese), è il Buddhismo cinese. Ch’an è la traduzione fonetica cinese di Dhyana, che in lingua indiana vuol dire meditazione. Ed infatti, il Ch’anismo pone l’accento sulla meditazione come disciplina religiosa che conduce alla tranquillità della mente e quindi all’illuminazione improvvisa.

Il Buddhismo indiano fu introdotto in Cina nella seconda metà del I sec. d.C. Per i cinesi non deve essere stato difficile accettare la filosofia buddhista, dati alcuni concetti simili al Taosimo. Infatti, all’inizio i testi buddhisti venivano presentati nei termini di Lao-tzu, Chuang-tzu e I-ching, secondo un metodo d’interpretazione chiamato Ko-i – nonostante non tutti i monaci cinesi accettassero passivamente questo metodo….

I concetti portati avanti dal Ch’anismo erano fondamentalmente due: spontaneità e silenzio. Quest’ultimo è strettamente legato al primo, anzi ne è la conseguenza. E’ spontaneità quella che caratterizza le azioni del Bodhisattva, così come è spontaneità la conoscenza superiore del Saggio taoista. La meditazione – dhyana – deve essere spontanea, così come lo è l’accorgersi che le cose sono “così come sono” (tathata). Ed è spontanea l’illuminazione stessa.

Da questa spontaneità deriva il concetto di silenzio, cioè l’impossibilità di affermare qualsiasi cosa. Per i seguaci del Ch’anismo, la Realtà non può essere nè espressa a parole nè può essere scritta, proprio come per i taoisti il Tao che può essere descritto non è il Tao Assoluto. La Realtà è chiamata “la mente” o “la natura di Buddha”, che è presente in tutti gli esseri senzienti. D’accordo con la scuola Mahayana, il Ch’anismo insegna che questa Realtà è sunya, e cioè “vuoto”, inesprimibile a parole e inconcepibile col pensiero. La vacuità non è negazione, essa trascende anche la negazione: è il non-qualificabile che, come scrive G. Tucci, “non può mai diventare contenuto del pensiero” (“Le religioni del Tibet” trad.it., Roma 1976, p.101). Inoltre, “questo vuoto è tale perché il nostro pensiero non riesce a definire l’Essere” (Ibidem, p.128). Perciò, il miglior modo per esprimere la Realtà sta nel rimanere in silenzio.

Eppure noi – che facciamo parte del mondo samsarico – esigiamo delle spiegazioni, non comprendiamo il silenzio. Una volta a Ma-tzu (morto nel 788) fu chiesto: ‘Perché dici che il vero spirito è Buddha?’ Ma-tzu rispose: ‘Io voglio semplicemente far smettere il pianto dei bambini.’ ‘E nel caso smettessero di piangere?’ gli si chiese nuovamente. ‘Allora nè spirito nè Buddha’ fu la risposta. Un altro Maestro Ch’an disse che In realtà quella tale cosa detta Bodhi non esiste. Che il Buddha ne parlasse era solo per il fatto che la considerava un mezzo per educare gli uomini, proprio come si possono far passare delle foglie gialle per monete d’oro al fine di frenare il pianto dei bambini….’*

La nostra sete di sapere è simile al pianto dei bambini…. noi smettiamo di piangere allorché siamo soddisfatti della risposta ricevuta. La cosa migliore, dicono i ch’anisti, è lasciarsi andare senza sforzi deliberati. Questo è anche il wu-wei dei taoisti.

Lo stesso Buddha scoprì che sforzarsi di trovare risposte non funzionava, e cominciò ad accorgersi che esisteva in lui una qualità “sveglia” che si manifestava solo in assenza di sforzo. Da qui il lasciar essere, il “metodo scoperto dal Buddha”, cioé la pratica della meditazione. Così come il musicista di sitar, in un famoso aneddoto riguardo al Buddha, non accorda le corde del suo strumento nè troppo tese nè troppo lente, allo stesso modo – insegna il Buddha – non bisogna imporre nulla con troppa forza nella nostra mente, nè dobbiamo lasciarla vagare qua e là.*

*Fung Yu-lan “Storia della filosofia cinese”, trad. it., Mlano 1975.

The importance of warmheartedness versus negative emotions

“Education and knowledge by themselves do not bring inner peace to individuals, families or the societies in which they live. But education combined with warmheartedness, a sense of concern for the well-being of others, has much more positive results. If you have a great deal of knowledge, but you are governed by negative emotions, then you tend to use your knowledge in negative ways. Therefore, while you are learning, don’t forget the importance of warmheartedness.” 

Dalai Lama

Parole o…. Silenzio?

Nel II Capitolo dello Chuang-tzu, intitolato Ch’i Wu Lun (“Sulla eguaglianza delle cose”), è scritto:

Poiché tutte le cose sono uno, c’è posto per le parole?

Nella nostra vita, così come la concepiamo noi, le parole sembrano avere un posto predominante, cosicché forse ne facciamo troppo uso e ci aggrappiamo ad esse. Le parole servono per comunicare con gli altri, sono un fattore prettamente sociale, costituiscono “i suoni dell’uomo”. Esprimono affermazioni, negazioni, punti di vista individuali e limitati che colgono solo un lato delle cose. E’ per questo che non bisogna farne troppo uso. Essendo un prodotto dell’uomo, esse sono talvolta fallaci e ci ingannano. Chuang-tzu insegna:

Una nassa serve per prendere pesci ma, quando il pesce è preso, non c’è più bisogno di pensare alla nassa.

Una tagliuola serve per prendere lepri; ma quando la lepre è presa, non c’è più bisogno di pensare alla tagliuola.

Le parole servono per capire le idee, ma quando l’idea è colta non c’è più bisogno di pensare alle parole.

Oh, se potessi trovare qualcuno che ha smesso di pensare alle parole e potessi averlo vicino per conversare con lui!

Appena colta l’idea, il significato che sta dietro la parola, bisogna dimenticare quest’ultima. Da qui il desiderio di Chuang-tzu di conversare con qualcuno che abbia smesso di pensare alle parole.

La Meditazione secondo la tradizione Taoista

Chuang-tzu (vissuto circa 369-286 a.C.) nel VI Capitolo della sua opera, riporta una immaginaria conversazione fra Confucio e il suo discepolo favorito Yen Hui:

Yen Hui disse: ‘Ho compiuto qualche progresso’

‘Che intendi dire?’ chiese Confucio

‘Ho dimenticato la sensibilità umana e la rettitudine’ rispose Yen Hui

‘Molto bene, ma non basta’ disse Confucio

Un altro giorno Yen Hui vide di nuovo Confucio e gli annunciò: ‘Ho compiuto qualche progresso’

‘Che intendi dire?’ chiese Confucio

‘Ho dimenticato i riti e la musica’ rispose Yen Hui

‘Molto bene, ma non basta’ disse Confucio

Un altro giorno Yen Hui vide di nuovo Confucio e gli annunciò: ‘Ho compiuto qualche progresso’

‘Che intendi dire?’ chiese Confucio

‘Siedo in completa dimenticanza’ rispose Yen Hui

Confucio, quanto mai interessato gli domandò: ‘Che significa sedere in completa dimenticanza?’

Al che Yen Hui rispose:

‘Le mie membra sono senza nervi, la mia intelligenza è ottusa. Ho abbandonato il corpo, ho rinunziato alla conoscenza e sono uno con l’infinito. Questo è stare seduto in dimenticanza.’

Allora Confucio disse:

‘Se sei uno con l’infinito, non hai più piaceri e ripugnanze personali, se sei uno con la Grande Evoluzione [dell’universo], non fai che accompagnare le mutazioni dell’universo. Se veramente hai raggiunto questo, amerei seguire il tuo sentiero.’

Il “sedere in completa dimenticanza” dei taoisti ricorda alcune pratiche meditative buddhiste e della filosofia indiana in generale, essendo il primo passo che deve compiere lo yogin per raggiungere lo stato di Buddha.

Bellissima questa descrizione dello Chuang-tzu!

Arun e il mistero del Fior di Loto

Questo breve racconto invita il lettore a meditare su alcune “realtà” della vita che sono universali, e in quanto tali, costituiscono un ponte immaginario che unisce l’Oriente all’Occidente.

Mi trovavo in uno dei tanti viaggi che hanno ispirato la mia vita e mi hanno insegnato quei valori che appartengono da sempre al genere umano e all’intero Universo. Ma in questo viaggio, che ha avuto luogo in India, un incontro dall’apparenza insignificante ha invece schiuso ai miei occhi un mondo nuovo, una visione completamente nuova della vita, e del Cosmo. Arun, il personaggio del mio incontro, è sicuramente una figura di eccezione, ma ognuno di noi potrebbe riflettersi in lui. Infatti, la saggezza non è solo frutto di una lunga esperienza di vita: essa si trova in noi sopita, e il suo risveglio è ciò che gli orientali chiamano “illuminazione”.

Il racconto che segue è quindi rivolto in particolar modo a coloro che fanno della loro vita una continua ricerca della Verità, e per chi si pone domande sul significato della sua esistenza, per poter essere più consapevole della sua crescita di individuo nella totalità di corpo, mente e spirito.

L’augurio è che le riflessioni che ne scaturiranno possano aprire le porte ad una comprensione più profonda dei valori universali, e che questi ultimi possano aiutare a vivere in una dimensione più consona alla individualità di ognuno.

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Nella sua vecchia casa coloniale, Arun viveva una vita semplice, e accoglieva di volta in volta chiunque si rivolgesse a lui come guida e aiuto. Umile e generoso, comunicava pensieri che non erano suoi, ma di un ordine universale a cui pochi avevano accesso.

Poteva avere ottanta, novant’anni – chissà! Nessuno era interessato a conoscere la sua vera età. Dava l’impressione di non avere età, Arun, ma di essere sempre esistito… così esile, canuto, dagli occhi di un colore grigio-blu il cui sguardo arrivava diritto al cuore e aveva il potere di calmare anche le menti più agitate. Chi l’avrebbe detto che un ometto dall’apparenza così insignificante potesse racchiudere in sé una saggezza e un amore così grandi… Era l’unione del macrocosmo con il microcosmo, di materia e spirito, e attraverso di lui si intravedeva il Tutto, la Realtà Ultima che non ha né principio né fine.

Quando mi fu presentato, in un attimo mi parve trasmettere col suo semplice sguardo quell’antica sapienza che ognuno di noi – ignaro – insegue da sempre, affinché schiuda ai nostri occhi il vero profondo significato della vita. In un lampo, vidi la mia esistenza scorrere come acqua limpida… ma non mi era ancora concesso di scorgere il fine ultimo.

Fu allora che capii che Arun doveva svolgere un ruolo importante nella mia vita, nella mia crescita, aiutandomi a soddisfare la mia interminabile sete di sapere. Mi fece accomodare nel patio della sua casa, che affacciava su di un laghetto calmo, cosparso di fior di loto. La bellezza di quel paesaggio avvolgeva di meraviglia tutto l’ambiente… in quel luogo doveva esserci qualcosa di magico, indescrivibile a parole. Cercai di trasmettere ad Arun queste mie sensazioni. Per un istante, sembrò chiudersi in se stesso come alla ricerca di una fonte di ispirazione; poi incominciò a parlare:

Le tue sensazioni non sono un mistero per chi fa della propria vita una continua ricerca della Verità. Tu vuoi dare un significato ad ogni cosa – sia essa visibile o invisibile… come le tue sensazioni di adesso. Ti introdurrò allora nel mio mondo, dove il visibile e l’invisibile non sono due condizioni diverse e antitetiche, ma una unica realtà il cui significato, se compreso nella sua interezza, ti aprirà le porte ad una consapevolezza più vasta.

Si voltò a guardare il lago con aria riverente, di chi è in preghiera. Seguì un lungo silenzio. La brezza pomeridiana e la serenità del lago continuavano a trasmettermi sensazioni bellissime, mentre Arun mi comunicava la sua umiltà d’animo.

Quel fior di loto che vedi galleggiare nel lago sembra non essere appartenuto ad altro che al lago. E così è per ogni altra cosa. Infatti, ogni cosa ci sembra appartenere a qualcos’altro di visibile di cui fa parte. Ed è così anche per ognuno di noi. Eppure, quel fior di loto appartiene sì al lago, ma il lago appartiene all’acqua, che sgorga dalla montagna, e la montagna è della Terra. Perciò, in realtà, il fior di loto non esisterebbe senza la Terra.

Come vedi, ogni cosa a questo mondo è legata a qualche altra cosa che riconduce ad un unico stesso fine. E noi non solo per istinto “sentiamo”, ma “sappiamo” per certo che la Terra sulla quale viviamo fa parte di una più vasta Realtà… e allora potremmo dire che la Terra appartiene al Sole – senza il quale noi non avremmo la vita – alla Luna e a tutti i pianeti di cui è composta la costellazione… che è parte di ciò che chiamiamo Universo. Il nostro mondo visibile – e conoscitivo – finisce qui. Ne risulta che la nostra prima impressione, e cioè che il fior di loto appartenga al lago, non è errata – perché quel fior di loto probabilmente non esisterebbe senza il lago – ma è riduttiva, perché non è la percezione completa della Realtà. Sarebbe infatti più corretto dire che il fior di loto appartiene all’Universo. E così è per ogni altra cosa o essere vivente.

E’ strano, ma ad un tratto mi accorsi che era cambiato qualcosa nella mia visione di quel fior di loto: era più bello, in un contesto più adatto alla sua proverbiale purezza. Il lago, che l’ospitava, mi appariva più luminoso, e il colore dell’acqua si univa a quello del cielo, in contrasto con il rosso fuoco del Sole del tramonto… Che cosa mi stava succedendo?

La tua capacità di comprendere le cose si sta espandendo. Stai diventando più ricettiva alle energie con le quali vieni in contatto. Vedi, ogni cosa è dotata di energia propria, e tu ora sei riuscita a captare le energie che il fior di loto – e ciò che lo circonda – ti hanno trasmesso. Il mondo in cui viviamo con tutto ciò che ne fa parte, vibra di energie. Noi stessi emaniamo energie, anche se non ce ne accorgiamo perché esse appartengono al mondo invisibile e quindi hanno bisogno di un’attenzione particolare da parte nostra per essere captate e capite. Questa comprensione è importante, poiché non sempre rispondiamo in modo corretto alle energie che ci vengono offerte.

Mi venne spontaneo chiedere ad Arun come, secondo lui, possiamo essere certi che la nostra comprensione sia quella giusta. A volte, la comprensione delle cose è diversa da persona a persona.

E’ vero: il pericolo risiede nella nostra comprensione errata della Realtà e nel danno che possiamo arrecare agli altri e alla nostra crescita. In effetti non c’è una regola che valga per tutti. Io ti posso solo parlare della mia esperienza personale e di ciò in cui io credo. E’ una filosofia di vita, la mia, che può non essere condivisa da tutti, ma è pur sempre un aspetto della Verità.

Mi sentivo sempre più attratta da questa figura che, in poco tempo, era riuscita ad ampliare la mia conoscenza della vita – e dell’Universo. Umilmente, gli chiesi di parlarmi della sua filosofia di vita.

L’unione di macrocosmo e microcosmo, di Cielo e Terra, è fonte della mia filosofia di vita, perché in essa intravedo le tante verità nascoste sulle quali meditare per una migliore comprensione della vita umana e dell’Universo.

Vedi, sin dalla sua creazione l’Uomo ha osservato il Cielo: è al Cielo che ha fatto riferimento. Il Cielo è sinonimo di Cosmo, o dell’Assoluto, e l’Uomo ne è parte integrante, non ne è separato, ed anzi il suo ruolo è quello di unione fra Cielo e Terra.

La consapevolezza di chi siamo e del cammino che ognuno di noi è chiamato a compiere nella vita assume una grande importanza, non solo per noi stessi, ma per l’equilibrio dell’intero Cosmo. L’Uomo deve poter raggiungere un equilibrio con se stesso e con l’ambiente circostante perché l’equilibrio cosmico possa essere mantenuto. Il legame Uomo-Cosmo è il tema principale della vita, e quando questo legame si spezza insorgono disordine e malattie.

La Conoscenza è la bussola della nostra vita: essa ci dirige là dove è giusto andare. Così come il marinaio deve conoscere bene il mare prima di imbarcarsi, noi dobbiamo conoscere bene il mare della vita prima di intraprendere ogni cosa. Lo stesso vale per il deserto: la gente che lo conosce lo ama e vive felicemente, nonostante le difficoltà. Infatti, il mare e il deserto possono spaventarti con le loro immense distese… senza inizio né fine. Ma poi le conosci… e tutto va bene. E questo è anche il segreto della vita: bisogna conoscerla per amarla e viverla pienamente.

Comprendere la vita non vuol dire altro che comprendere se stessi e il ruolo che ognuno di noi svolge al suo interno. Che ognuno di noi abbia un ruolo diverso non è un caso, ma una necessità per l’equilibrio stesso del mondo e l’ordine delle cose nel disegno divino che è la Vita.

L’Uomo retto non solo seguirà il corso della vita con serenità, ma affronterà con spirito benevolo ciò che la vita gli offrirà, senza nutrire alcun desiderio o aspettativa.

What is “Divinity”?

 Here is a teaching:

the flash in the lightning that causes one to blink and say, “Ah!”


that “Ah!” is the Divinity.

Kenopanisad 4.4.

“Amo Ergo Sum”

“………………………

Because I love

There is an invisible way across the sky,

Birds travel by that way, the sun and moon

And all the stars travel that path by night.

………………………..”

Kathleen Raine, The Year One (1952)

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